Appunti del corso in Geografia e Cartografia. Un'interessante excursus storico su come nasce e come si sviluppa la cartografia, a cominciare dalle prime forme preistoriche fino ad arrivare ai giorni nostri, con i moderni sistemi di realizzazione cartografica. Infine, gli appunti sono anche una guida per l’interpretazione della concezione che un popolo ha di se stesso e dei suoi rapporti con gli altri.
Cartografia e territorio nei secoli
di Elisabetta Pintus
Appunti del corso in Geografia e Cartografia. Un'interessante excursus storico
su come nasce e come si sviluppa la cartografia, a cominciare dalle prime
forme preistoriche fino ad arrivare ai giorni nostri, con i moderni sistemi di
realizzazione cartografica. Infine, gli appunti sono anche una guida per
l’interpretazione della concezione che un popolo ha di se stesso e dei suoi
rapporti con gli altri.
Università: Università degli Studi di Cagliari
Facoltà: Scienze Economiche e Aziendali
Corso: Marketing
Esame: Geografia e Cartografia
Docente: Cosimo Palagiano, Angela Asole, Gabriella
Arena1. Le origini della Cartografia: le civiltà “primitive”
L’uomo vive in stretto rapporto con la natura, per questo alla base della sua sopravvivenza c’è la conoscenza
dei luoghi e la capacità di orientamento. Le carte primitive sono ricche di immagini che esprimono la realtà
così come ci appare, riguardano esigue porzioni di terreno, proprio per il carattere di concretezza che hanno:
non c’è bisogno, in questo modo, di ricorrere a disegni astratti o convenzionali. I materiali usati sono svariati
e dipendono principalmente dalle disponibilità locali. Generalmente, la maggior parte costituiscono in
incisioni, sculture o disegni su pietra o legno; meno frequentemente vengono usate ossa, pelli, lamine
metalliche e fibre vegetali. Questi graffiti sono stati trovati in moltissime località, come in Venezuela, in
Africa, in Francia, in Italia (Valcamonica), nei Paesi Bassi, sul lago Ladoga e sul fiume Jenissei, in Siberia e
nel Caucaso; forse erano legati a percorsi di caccia.
Nel 1724 il gesuita J.F.Lafiteau raccolse molte carte elaborate dagli Indiani dell’America Settentrionale su
legno o su pelle, dov’erano riportati tutti i fiumi e i laghi e i monti della regione con estrema precisione, con
l’indicazione del nome da loro dato. Queste carte erano trattate in modo tale da poter essere arrotolate e
trasportate agevolmente.
In America meridionale l’arte cartografica era molto sviluppata nell’antica civiltà degli Atzechi, dei Maya e
dei Toltechi. Venivano disegnate e dipinte su materiale vegetale ricavato da fibre di agave e da corteccia di
fico. Nel 1526 venne fatta recapitare a Fernando Cortez dal re atzeco Xicalango una carta che raffigurava
tutta la regione fino alla latitudine dell’odierna Panama e che fu vantaggiosa per la conquista dell’Honduras.
Ne rimangono pochissime perché la maggior parte venne bruciata dai conquistadores. Una carta rimastaci, il
Codex Tepetlaortoc, contiene tutta una serie di simboli, sconosciuti alla cultura europea, per esprimere dati
topografici e storici. Sono più numerose le mappe catastali messicane, dove venivano usati colori diversi per
distinguere le varie proprietà fondiarie, in base alla classe sociale cui appartiene il proprietario.
La maggior parte delle carte primitive, tranne quelle degli Eschimesi, erano disegnate su superfici piane. Gli
eschimesi sono stati i primi a costruire carte in rilievo, scandite in distanze (giorni di viaggio) e linea di
costa delimitata da aste di legno. I rilievi e le catene montuose erano costruiti con mucchi di sabbia e pietre;
con le isole si cercava di mantenere le proporzioni; bastoni di legno indicavano la posizione dei villaggi e le
stazioni di pesca.
Nelle isole Marshall abbiamo carte nautiche, costruite utilizzando foglie di palma da cocco (coste), unite con
fili di fibra di cocco, così da puntare in diverse direzioni. Delle conchiglie, indicanti le isole, erano fissate
alle intersezioni dei fili di palma: le fibre rappresentavano le creste d’onda e indicavano la direzione dei
frangenti. Altre fibre più sottili indicavano le creste d’onda che si creano per le maree, mentre altre fibre
indicavano la distanza tra le isole e il momento del loro avvistamento. C’erano tre tipi di carte: mattang
(indicazione teorica delle onde, con funzione didattica), rabbang (intero arcipelago) e meddo (varie parti
dell’arcipelago). Queste carte venivano stese sulla poppa e si controllava che l’angolo formato dallo scafo in
direzione della cresta d’onda principale fosse esatto.
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Cartografia e territorio nei secoli 2. La civiltà mesopotamica e la cartografia
Sono i primi reperti che si possono definire come cartografici. Riguardano l’assetto del territorio interno,
posto in relazione alla disponibilità di acqua, poiché erano questi i punti in cui venivano costruite le città.
Una tavoletta da Tello riproduce, con esatte proporzioni, una vasta proprietà estesa per circa 208 ha, mentre
una tavoletta trovata a Nippur del 1300 a.C., mostra i campi coltivati prossimi alla città, con l’indicazione
dei proprietari.
In generale hanno un carattere molto pratico: nel caso della tavoletta con la raffigurazione della città di
Nippur, essa aiutò a localizzare e identificare le strutture della città mano a mano che venivano alla luce. Era
molto accurata: le mura di cinta delle città erano identificate con linee doppie, le porte della città con
l’incrocio di linee doppie, le mura perimetrali degli edifici principali con un solo tratto, il cortile fortificato
del palazzo di Ekur con linea doppia, i terrapieni e i fossati con linee opportunamente spaziate e il grande
canale con un diverso spessore del disegno di contorno.
Ai Babilonesi si deve anche la prima carta del Mondo, del VI sec a.C., che rappresenta il culmine e la fine di
questa cultura che dopo la conquista persiana si assimila all’invasore. Esprime chiaramente la cosmografia
babilonese, sia con il disegno sia con il commento che mostra le conoscenze che avevano i Babilonesi dei
popoli lontani. La Terra è rappresentata come un’isola a forma di disco galleggiante nell’Oceano. Babilonia,
con il fiume Eufrate, è al centro del disegno e intorno ad essa ci sono altre sette città (“le sette isole”), con
l’indicazione di alcune distanze. Oltre l’anello che rappresenta l’Oceano Terrestre (“Fiume Amaro”) ci sono
sette Paesi lontani (tutti con l’indicazione di regione), dove per alcuni ci sono didascalie con indicazioni di
carattere astronomico, come “Regni di semioscurità”, “Dove non si vede il sole”, “Vi sorge il sole”, che
dimostrano come i Babilonesi avessero avuto notizie di territori posti a latitudine settentrionale e di Paesi
dell’Estremo Oriente. Nella parte superiore è raffigurato l’Oceano Celeste con i segni dello Zodiaco.
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Cartografia e territorio nei secoli 3. La Cartografia e la civiltà egizia
Ci rimane poco, anche se senza dubbio c’era una conoscenza migliore dei paesi vicini e lontani: i Faraoni,
infatti, organizzavano spedizioni commerciali e viaggi di esplorazione verso terre diverse. Un’iscrizione del
tempio di Der-el-Balwi ricorda una navigazione diretta verso la regione di Punt (la Somalia), intrapresa tra il
1493 e il 1492 a.C., con la raffigurazione della nave, ma non del percorso. Nel corso della spedizione del
faraone Sesostris contro i popoli sciiti, vennero elaborate carte di tutti i territori conquistati, dove vennero
segnate le strade e i confini della Colchide, ma non sono pervenute fino a noi.
Altre testimonianze riguardano mappe catastali, dove si può notare la conoscenza matematica e geometrica e
la tassazione vigente basata sul censimento della proprietà fondiaria: ogni anno, quindi, si dovevano
aggiornare le dimensioni delle proprietà per determinare con esattezza l’ammontare della tassazione.
Era ugualmente importante saper misurare e registrare il livello delle acque del fiume, come si nota nella
Stele che riporta una registrazione di annali reali con l’indicazione dei diversi livelli raggiunti dalle acque
del Nilo. Ci sono rimaste, però, solo piante di edifici, palazzi e templi, tranne una carta particolarissima, che
si potrebbe definire geologica e topografica: rappresenta una ristretta porzione della Nubia, dove c’era un
giacimento d’oro. Vi sono segnate schematicamente le strade che dalla miniera conducevano al Mar Rosso e
anche un piccolo centro abitato, con via principale, case e un tempio dedicato ad Ammor, con l’uso di colori
diversi per indicare dove l’oro era presente (rosa) e dove no (nero).
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Cartografia e territorio nei secoli 4. La Cartografia nel mondo classico
La cartografia sembra svilupparsi con un intento essenzialmente pratico e tecnico, ma, dal VI secolo, la
cartografia procede su due binari paralleli: da un lato abbiamo l’esigenza pratica di conoscere nuove terre da
colonizzare (si risolve nei periploi), e dall’altro abbiamo la ricerca filosofica teorica, che porta alla nascita di
elaborati trattati, nei quali la Terra è vista e studiata nel suo complesso e si tenta di risolvere problemi
cosmici, quali la misura della Terra e l’origine dell’Universo. Si può affermare che il primo geografo greco
sia il grande Omero: l’esattezza della descrizione delle coste dell’Italia meridionale, i frequenti accenni alle
distanze marine e ai tempi necessari a percorrerle, la possibilità di approdo, fanno capire che la conoscenza
geografica era molto avanti e trarrebbero origine dai periploi, come la descrizione dello scudo di Achille,
trasposizione letteraria di un disegno cartografico. La raffigurazione appare suddivisa in cinque parti,
corrispondenti ai cinque cerchi concentrici di diametro crescente che compongono lo scudo. Al centro è
rappresentato l’Universo celeste con il Sole, la Luna e le costellazioni principali; nella seconda parte c’è la
Terra più densamente abitata, con due grandi città; nella terza ci sono campi coltivati; nella quarta scene di
vita pastorale; nella quinta, la più grande, che racchiude le altre, c’è l’Oceano, che circonda ad anello la
Terra.
Nell’età arcaica, la cartografia greca dev’essersi sviluppata come sostegno del movimento di fondazione
delle colonie lungo le coste del Mediterraneo. Degli antichi periploi ci rimangono pochi frammenti, ma
sappiamo che ne esistevano di tre tipi: peripli circoscritti a un mare particolare, peripli che riguardavano
tutto il Mediterraneo e peripli che trattavano delle coste dell’Oceano. Nel VI secolo inizia a svilupparsi una
cartografia che spazia in tutte le terre.
1. Anassimandro: vissuto tra il 610 e il 546 a.C., costruisce una carta della quale però sappiamo poco, viene
ricordato come il primo cartografo.
2. Ecateo: 550-480 a.C., rivide il disegno di Anassimandro, integrandolo con notizie dirette, desunte dai suoi
lunghissimi viaggi.
3. Autore sconosciuto: sempre della scuola ionica, non conosciamo il nome, descrisse la forma della Terra
secondo una teoria molto personale, che peraltro troverà similitudini nell’epoca medievale. Considera la
Terra formata da sette parti, come un corpo umano: il Peloponneso è la testa, l’istmo è la spina dorsale, la
Ionia è il diaframma, l’Ellesponto la coscia, il Bosforo Tracio e Cimmerio sono i piedi, il Mare Egizio è
l’alto ventre, il Mar Nero il basso ventre e il Mar Caspio il retto.
4. Pitagora: sostiene la sfericità della Terra.
Continua a progredire una cartografia pratica, legata alla vita sociale e a necessità militari. Quando il porto
del Pireo venne distrutto dai Persiani, o quando la città di Mileto venne bruciata dai Persiani, si provvide alla
ricostruzione in base a accurati progetti urbanistici, con l’aiuto di architetti tra cui Ippodramo di Mileto, che
studiò perfettamente la morfologia del terreno per poi adattarvi un reticolato di strade e piazze.
5. Aristagora: costretto a fuggire da Mileto per la sconfitta dei persiani, si rifugiò presso gli Spartani, ai quali
mostrò una carta incisa in bronzo, sperando di convincerli a combattere contro la Persia.
Nell’età arcaica la cartografia rimase legata ad alcuni filoni particolari: i peripli, connessi con la fondazione
delle colonie, che riguardavano la conoscenza abbastanza precisa delle coste del Mar Mediterraneo; le carte
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Cartografia e territorio nei secoli militari, collegate alla potenza persiana e poi macedone, che interessa principalmente l’Asia occidentale sia
da un punto di vista topografico che etnografico; il filone delle carte generali, sulla forma della Terra,
derivate dall’indagine filosofica. Solo nella seconda parte del IV secolo nasce una cartografia che si può
definire scientifica, nella quale all’aumento delle conoscenze dei popoli e dei territori è connessa
l’applicazione della matematica.
6. Dicearco da Messina: 350-290 a.C., costruisce una carta del mondo servendosi di una linea di riferimento,
il diafragma, che, in direzione ovest-est, passava per le Colonne d’Ercole, la Sicilia, Atene, Rodi, il Monte
Tauro e il Monte Immaus, luoghi secondo lui allineati lungo questa linea, come se avessero la stessa
latitudine.
7. Eratostene: 276-195 a.C., applicò la misurazione angolare e i concetti astronomici al disegno cartografico.
Riuscì a calcolare, basandosi sulla diversa inclinazione dei raggi solari a Siene e ad Alessandria, la distanza
tra queste due città; usò poi tale distanza per calcolare la grandezza della Terra, considerata una sfera
perfetta. Inoltre si servì di un insieme di linee orizzontali e verticali, tracciate a distanze disuguali, ma
passanti per località note (anticipazione del reticolato geografico).
8. Cratete di Mallo: inizio II secolo, riconosce le grandi deformazioni che comportava la resa in piano della
superficie sferica, e quindi elabora un modello del Mondo a tutto tondo, con la suddivisione della Terra in
quattro continenti uguali per estensione.
9. Ipparco di Nicea: 180-125 a.C., costruisce, per rappresentare in piano la sfera, due proiezioni che
preannunciano, come criteri, quelle oggi conosciute con il nome di proiezioni ortografica e stereografica.
10. Posidonio di Apamea: II secolo, riprende i calcoli di Erastotene, per giungere però ad ottenere un valore
della lunghezza del grado di meridiano assai inferiore e più lontano dalla realtà.
11. Marino di Tiro: I secolo, realizza le idee di Ipparco sviluppando la teoria delle proiezioni e rivestendo la
carta con una rete di circoli meridiani e di paralleli tracciati sulla base di precisi calcoli matematici, fornendo
una serie di misurazioni delle coordinate geografiche.
12. Claudio Tolomeo: nacque a Tolemaide d’Egitto verso il 100 d.C. e operò in Alessandria sotto gli
Antonini. Come astronomo non ebbe la possibilità, per l’immaturità dei tempi, di giungere alla visione
eliocentrica del sistema solare, ma riuscì a conciliare i dati delle osservazioni con la teoria geocentrica.
Secondo Tolomeo, al centro del sistema vi era la Terra e, a diverse distanze da questa, in ordine crescente, la
Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno. Il Sole descriveva un’orbita eccentrica rispetto alla
Terra, mentre i pianeti descrivevano epicicli, cioè orbite circolari non intorno alla Terra, ma intorno a punti
situati sul deferente, cioè la circonferenza al centro della quale si immaginava la Terra. Confermò la
precessione degli equinozi. La sua opera astronomica è l’Almagesto. Altrettanto importanti sono gli studi in
cartografia, utilizzando le conoscenze dei suoi predecessori, come Marino di Tiro, Ipparco (coordinate
geografiche) e Posidonio (valutazione della circonferenza terrestre) e diede con precisione delle regole da
seguire per la costruzione di globi terrestri e planisferi. L’errore sulle reali dimensioni della Terra, dovuto al
difettoso calcolo delle terre emerse allora conosciute, stimate in 180° in longitudine, 50° in più del vero.
Non sappiamo esattamente il valore dello stadio utilizzato da Tolomeo, ma riteneva che il Mediterraneo
fosse di 20° più esteso di quanto sia nella realtà. Tuttavia, il motivo della sua opera cartografica fu quello di
rappresentare con una proiezione, la più idonea possibile, il profilo delle terre emerse e le località principali.
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Cartografia e territorio nei secoli Per le coordinate si deve supporre che abbia proceduto nel lavoro mediante approssimazioni, con le
descrizioni generali e particolari dell’ecumene con la posizione di alcune località, le carte principali, i
peripli, i resoconti di viaggi e compilazioni e carte già costruite sulla base di altre informazioni. Dovette,
perciò, unire al proprio intuito e al buon senso una notevole capacità di ragionare in termini matematici.
L’opera cartografica si compone di otto libri. Alcuni manoscritti, che contengono carte geografiche, sono
stati distinti in due gruppi: il gruppo A (11 manoscritti, con 26 carte allegate al testo) e il gruppo B (5
manoscritti, con 64 carte inserite nel testo). Le carte geografiche possono essere a un unico foglio oppure in
4 fogli. Nel primo libro abbiamo la critica a Marino di Tiro e istruzioni per il disegno di carte e proposte per
la costruzione di due proiezioni di sviluppo (una con l’accostamento all’equatore di due coniche e l’altra,
conica modificata, con il cono di proiezione secante all’equatore e lungo il parallelo di 45°). Inoltre ci sono
consigli su come segnare i confini e su come utilizzare i dati contenuti nelle tabelle allegate; nel retro delle
carte è annotato il nome della regione disegnata, con i confini e le città; le coordinate sono espresse in ore e
minuti anziché in gradi (1 h = 15°, 1’ = 15 primi di grado). La lettura dell’opera cartografica di Tolomeo è
poco agevole dal punto di vista filologico, perché i codici a noi pervenuti sono di 8 secoli posteriori alla
morte dell’autore. Non sappiamo effettivamente se ci fossero carte nell’originale: sembra strano che
Tolomeo non le abbia fatte, però comunque quelle pervenute possono essere state fatte da altri. Ciò sembra
confermato dal fatto che un monaco abbia comprato un manoscritto di Tolomeo, dell’opera cartografica
senza carte, nel quale vi è un’annotazione di un certo Agatodemone, che afferma di aver disegnato il
mappamondo. Inoltre, non sappiamo l’esatta ricostruzione del testo originale, poiché ci sono state
manomissioni e cambiamenti, quindi non si ha certezza sulle sue teorie. Di norma il contorno costiero delle
isole del Mediterraneo risulta molto più accurato di quello dei continenti: le analisi parziali dell’opera di
Tolomeo infatti riguardano soprattutto le isole. Gli errori o sono di Tolomeo, e quindi si dovrebbe pensare
che non abbia disegnato carte, perché se ne sarebbe dovuto accorgere degli errori, oppure derivano dagli
amanuensi bizantini, che però avrebbero dovuto conoscere molto bene questa parte dell’Italia.
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Cartografia e territorio nei secoli 5. La civiltà romana e la cartografia
La civiltà romana, al suo nascere, si presenta come una civiltà agricola e il suo legame con la terra rimane
una peculiare caratteristica che è destinata ad accompagnare nei secoli la crescita e la grandezza di Roma.
L’importanza della terra ha anche un risvolto religioso che trova riscontro, oltre che nel culto di numerose
divinità agresti, anche nelle cerimonie a carattere sacro che si accompagnano a molte operazioni che
riguardano l’utilizzazione del territorio: molta importanza ha l’agrimensura, cioè la misurazione della terra,
per delimitare i confini delle nuove città e determinare l’ampiezza degli appezzamenti da assegnare ai coloni
e ai veterani, effettuata da mensores e auguri. I mensores per orientarsi si servivano di particolari strumenti,
come la meridiana, nel tipo anche portatile, e lo gnomone, che imparavano ad usare nel corso di un lungo
periodo di apprendimento, basato sullo studio della geometria, astronomia, cosmografia e giurisprudenza.
Una volta determinato con precisione l’orientamento, tramite un altro strumento particolare, la groma, i
mensores tracciavano per prima cosa una linea retta con direzione est-ovest (il decumano) che avrebbe
rappresentato l’asse principale del rilevamento; quindi si procedeva a tracciare un’altra retta, perpendicolare
alla precedente, con direzione nord-sud (il cardo). Dal punto di incrocio tra il decumano e il cardo si passava
a rilevare tutta una serie di altri decumani, scanditi a distanza costante rispetto a questo, e un uguale numero
di cardi, a distanza costante e uguale a quella adottata per i decumani. Si otteneva così una divisione del
territorio che prende il nome di centuriazione, a forma di scacchiera, i cui quadrati, centuria, avevano in
genere una dimensione di 200 iugeri. Il momento cartografico era molto importante: si sa che le carte usate
dagli agrimensori avevano il nome di formae e che venivano elaborate nel bronzo in duplice copia, in quanto
una rimaneva nella colonia o presso la comunità, e l’altra veniva mandata a Roma per essere conservata nel
Tabularium. Tabulae invece erano dette le registrazioni di dati tecnici, sempre su bronzo, accluse alle
formae, ma con l’andare del tempo questo termine cominciò ad essere usato con lo stesso significato di
forma e ad esso assimilato. Tali carte riportavano non solo il disegno delle terre centuriate, ma
riproducevano tutte le caratteristiche del territorio, come la presenza di aree montuose, di fiumi ecc.
La grandezza di Roma poggiava però sulla sua potenza militare. Le più originali manifestazioni
cartografiche romane sono costituite dagli itinerari. Ne esistevano due diversi tipi: gli itineraria scripta o
adnotata e gli itineraria picta. I primi constavano di una serie di annotazioni scritte che riportavano in forma
letteraria la descrizione della posizione dei luoghi, le distanze, le condizioni delle strade ecc; i secondi
disegnati e colorati, rappresentavano graficamente la morfologia del territorio, l’esistenza di città e di
avamposti militari, il percorso delle strade ecc. Gli itinerari a poco a poco si diffusero e vennero elaborati
anche per scopi civili, ad uso dei funzionari imperiali e dei privati viaggiatori. Alcune riportano, oltre alla
rete viaria, le indicazioni relative all’esistenza di stazioni di sosta e di posti di ristoro con le distanze.
I pochi esempi di carte militari che sono pervenute sono tutte databili all’epoca del Tardo Impero. Si
possono ricordare quelle assai schematiche riportate a complemento del testo della Notitia Dignitatum,
relative alla Britannia e all’Egitto, che illustrano la posizione e la grandezza dei centri militari e
amministrativi esistenti nei due paesi; quella nota come Carta dello scudo di Dura Europos, chiamata così
perché la pergamena su cui era disegnata serviva da copertura ad uno scudo venuto alla luce ad Europos. Le
carte militari erano disegnate su papiro o su pergamena, materiali che si potevano facilmente consultare e
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Cartografia e territorio nei secoli trasportare, dal momento che erano conservate in rotoli. La più famosa è quella dell’ecumene chiamata
Orbis pictus, dov’erano ordinati in un contesto organico e in forma compiuta tutti i dati e le indicazioni
raccolte da Agrippa a costituire un compendio ufficiale di tutte le conoscenze geografiche allora note, sia
dalla tradizione culturale greca ed egiziana sia dalle indagini dirette operate dai Romani. La carta del mondo
di Agrippa dovette costituire un modello che verrà perpetuato, anche se con parecchie modificazioni, fino
all’età medievale e al periodo delle grandi scoperte geografiche. Probabilmente divenne anche un motivo
ornamentale e decorativo.
Tra gli itinerari ad uso civile possiamo ricordare l’Itinerarium Antonini e quello noto come opera
dell’Anonimo ravennate, ambedue itineraria scripta.
Al genere degli itineraria picta appartiene la Tabula Peutingeriana, copia medievale di una carta di età
romana, che consta di una striscia di pergamena lunga 6,752 m e larga 34 cm, suddivisa in 11 fogli,
segmenta, di circa 60 cm ognuno. Essa fu ritrovata nel 1507 da Konrad Celtes, che la diede allo studioso
Konrad Peutinger, il quale ne curò la riproduzione, che si rivela ancora oggi preziosa, perché ci consente una
migliore lettura rispetto alla copia medievale, la cui pergamena è molto deteriorata. L’originale romano
probabilmente era più lungo, forse 7,40 m, e constava di 12 segmenta, in quanto nel disegno cartografico
manca tutta la raffigurazione dell’Iberia e della Britannia. Il disegno cartografico segue una direzione
continua da sinistra verso destra: gli oggetti geografici sono riportati come allineati lungo un asse idealmente
orizzontale, con il punto cardinale est posto verso l’alto. Questo fatto, che determina una estrema riduzione
dello spazio nel senso della latitudine e una deformazione della realtà, è evidentemente dovuto alla necessità
di poter consultare e trasportare facilmente l’itinerario sotto forma di rotolo. Nel suo complesso la Tabula
ritrae l’intero Mondo conosciuto dai Romani, ovvero i tre continenti, Europa, Asia e Africa, circondati
dall’Oceano, che avvolge tutta la carta a guisa di una stretta cornice. L’Europa appare divisa dall’Africa per
mezzo del Mar Mediterraneo, mentre il fiume Tanais separa l’Europa dall’Asia e il fiume Nilus l’Asia
dall’Africa. Ci sono ovviamente marcate sproporzioni nel disegno tra territori meglio conosciuti e più
frequentemente attraversati e territori meno conosciuti e più difficilmente meta di viaggio: ad esempio,
mentre all’Italia sono dedicati 5 segmenta, all’intera Asia Orientale è riservato un solo segmentum e anche
scarsamente illustrato e particolareggiato. La carta contiene tutti quegli elementi che possono essere utili al
viaggiatore; vi sono riprodotte strade per una percorrenza totale corrispondente a 100.000 km odierni e vi
sono localizzate oltre 3.000 stazioni stradali. Moltissime sono le citazioni di nomi di popoli che abitano i
vari territori e le denominazioni di province; frequenti le indicazioni tese a chiarire i tipi di paesaggio che il
viaggiatore incontra lungo il suo percorso, oltre a quelle che riguardano le caratteristiche morfologiche del
territorio attraversato. Viene dato molto rilievo alla presenza dei nodi di traffico più importanti (simbolo di
doppia torre), esistenza di porti (disegnati schematicamente), empori, centri di culto (scritta templum), centri
termali (con un segno particolare), stazioni di posta e di luoghi di ristoro (con i nomi locali). È resa
esteticamente bella dall’uso del colore e dalla presenza di raffigurazioni allegoriche.
Per quanto riguarda il colore, per il mare è usato il verde tendente allo scuro, mentre per la Terra emersa è
riconoscibile dal colore giallo; la linea di costa è evidenziata con il nero. I fiumi sono tracciati in verde
cangiante, come i laghi, mentre per i monti sono adoperati indifferentemente colori diversi, come il marrone,
il grigio chiaro, il rosa e il rosso. Le raffigurazioni allegoriche sono numerosissime; spesso anche i boschi e
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Cartografia e territorio nei secoli le selve sono identificati anche dal disegno schematico di alberi di diverso tipo e forma. Inoltre ben 555
località sono rappresentate con disegni che ne evidenziano e ne sottolineano l’importanza: Roma è indicata
con una figura incoronata, seduta sul trono, che tiene nella mano destra un globo e con la sinistra la lancia e
lo scudo; Costantinopoli, seconda città dell’impero, viene raffigurata anch’essa con una figura in trono, ma
senza corona e senza globo, con lancia e scudo sorretti con la mano sinistra; Antiochia, terza città, è una
figura in trono, ma con solo la lancia nella sinistra. Tutte le altre località sono invece rappresentate con la
cerchia muraria o con torri o templi o porti.
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Cartografia e territorio nei secoli 6. La cartografia nel medioevo
Il medioevo inizia con la caduta dell‘Impero Romano d‘Occidente e si conclude con l‘avvio delle grandi
scoperte geografiche. L‘autorità della Chiesa assume un ruolo dominante proprio nel campo della cultura.
La religione cristiana si era trovata a dover combattere con ogni mezzo contro il paganesimo, cui dava forza
non solo una tradizione plurisecolare, ma anche la speculazione filosofica e scientifica che aveva raggiunto
nel periodo ellenistico il suo acme culturale. Proprio i testi dei grandi filosofi greci e dei letterati latini si
erano rilevati i principali avversari dell‘idea monoteistica e egualitaria del cristianesimo. Così, la
conservazione e la consultazione delle opere classiche è consentita solo nei monasteri, ma in tutto il mondo
occidentale si va diffondendo una nuova cultura, nella quale alla tradizione classica, accettata in modo
acritico in quanto priva dei suoi fondamenti scientifici, si sovrappone la matrice religiosa. Tale commistione
è individuabile in tutta la produzione cartografica del primo medioevo, sia nei mappamondi sia negli
itinerari. Meno dipendenti dalle influenze religiose sono le carte nautiche che, insieme con i portolani,
nascono per un‘esigenza pratica e si sviluppano solo alla fine del medioevo.
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Cartografia e territorio nei secoli 7. I primi mappamondi
Gran parte della produzione cartografica tra la fine dell’impero romano e il XIV secolo è rappresentata dai
mappamondi, che venivano eseguiti da monaci o da letterati che intendevano mostrare la loro
interpretazione dei classici e dei testi sacri e li arricchivano spesso con particolari non esattamente
cartografici, come figure umane, paesaggi e personaggi mitologici, che rispondevano a richieste estetiche e
iconografiche: la cartografia infatti si poneva come compendio grafico di un sapere e di una cultura
generalmente diffusa, dove le raffigurazioni sono grossolane, travisate e difficili da capire.
I mappamondi sono carte di forma generalmente circolare che rappresentano il mondo abitato e conosciuto
come una superficie piana, cinta dall’Oceano e con l’est in alto. Si ispiravano all’idea di una terra piatta,
senza dubbio più facile da rappresentare, perché era come se fosse vista dall’alto di una montagna, evitando
tra l’altro la difficile questione delle razze umane che avrebbero potuto popolare gli antipodi.
Si ebbe, così, fino al XIV secolo, l’utilizzo della figura a T-O, mappe di puro tipo romano-cristiano: la terra
risulta inserita in una circonferenza che rappresenta l’Oceano, i due segmenti superiori, uniti a formare la T,
sono costituiti dal Tanais (Don) e dal Nilo e tracciano il confine tra l’Asia, cioè la porzione di terra che sta
nella parte alta della rappresentazione, e l’Africa e l’Europa, collocate rispettivamente a destra e a sinistra e
divise tra di loro dall’asta verticale della T, rappresentata dal mar Mediterraneo. Altra caratteristica è
l’Oriente in alto: il punto in cui sorge il sole era il più adatto a rappresentare anche l’origine della “luce
divina”. Ma ciò impediva di rappresentare gli oggetti così come venivano osservati, impresa ancora più
difficile poiché il centro del mappamondo era rappresentato da Gerusalemme, fulcro del mondo cristiano.
Questo tipo di mappamondo viene definito anche come mappamondo sallustiano, perché l’esempio più
tipico venne trovato in un codice di Sallustio. Tra i mappamondi a T-O più noti e accurati ci sono quelli di
Ebstorf e di Hereford e quelli costruiti da Fra’ Mauro. La scrittura su queste mappe generalmente è in latino,
ma spesso i nomi sono dati nei volgari locali. Riflettono le idee dell’era pre-cristiana, vengono chiamate
Imago Mundi Rotonda o Mappe Noachidi dalla loro suddivisione biblica in tre parti, una per ciascuno dei
figli di Noè. Abbiamo un esempio di ciò nella splendida miniatura che decora il tardo manoscritto di Jean
Mansel, La fleur des histoires: a Sem viene data l’Asia, a Cam l’Africa e a Jafet l’Europa. Simboleggia la
comune matrice etnico-religiosa dei tre continenti.
Non tutti i mappamondi hanno queste caratteristiche: l’ecumene poteva avere un contorno quadrangolare o
ovale. Ci sono inoltre mappamondi più recenti che presentano la terra quadripartita secondo due linee: la
prima sono il Tanais e il Nilo e la seconda il Mediterraneo e la catena del Tauro.
Abbiamo altri due tipi di mappe: uno è del tipo Cratete di Mallo, che derivano il loro nome dal classico
prototipo del globo di Cratete. È un tipo abbastanza raro, perché rappresentava la teoria degli antipodi, che
non poteva essere accettata dalla Chiesa. C’è una suddivisione in zone. Un esempio è dato dalle mappe di
Marziano Capella. Vengono associate a queste mappe zonali le mappe climatiche, che suddividono
l’ecumene in sette tipi di clima, secondo gli insegnamenti tolemaici.
Il terzo tipo è un incrocio degli altri due, e comprende le cosiddette mappe del Beatus. Sono tra quelle che
lasciano maggiormente il segno nella cartografia monastica. Beatus di Valcavado, monaco benedettino
spagnolo, compilò il suo Commentario dell’Apocalisse nel 776, aggiungendovi una mappa del mondo quale
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Cartografia e territorio nei secoli illustrazione. Queste mappe differiscono molto per forma, dimensioni e apparenza, invariabilmente orientate
all’est in alto, la superficie terrestre a volte è divisa in quattro zone.
Nella mappa dell’Anonimo ravennate, abbiamo al centro della carta non Gerusalemme, ma Ravenna, dalla
quale si dipartivano 24 raggi che suddividevano la superficie terrestre in 12 settori diurni e 12 notturni.
Dal momento che fu la Chiesa a fare la maggior parte dei mappamondi, è naturale che imponesse i suoi
segni, come la posizione di Gerusalemme al centro. Nel VI secolo, Cosma Indicopleuste aveva formulato
una figurazione cartografica che riconduceva l’universo alla forma del Tabernacolo del Tempio di
Gerusalemme. La Terra vi assumeva una forma piana quadrangolare circondata dal grande Oceano, che vi si
insinuava in 4 ampi golfi; ai suoi lati si innalzavano le pareti del Cielo, che la congiungevano alla
sovrastante volta celeste, emisferica, che chiudeva l’intero universo. In fondo alla Terra, verso Occidente, si
ergeva una grande montagna dietro la quale il Sole, con gli altri astri, accompagnato da angeli lampadofori
quotidianamente spariva.
Inoltre, la Terra non poteva essere rappresentata se non in forme circolari, seppure inscritte in una cornice
quadrangolare, che trova una sua spiegazione nelle parole dell’Apocalisse di Giovanni, che dice che i 4
angeli erano nei 4 angoli corrispondenti alla direzione dei venti principali, che appaiono esterni alla Terra
stessa.
Altra caratteristica è l’omocentrismo che caratterizza le rappresentazioni: nei mappamondi troviamo
indifferentemente la rappresentazione del Paradiso terrestre, dei luoghi santi della cristianità, i regni biblici
di Gog e di Magog, le dieci tribù perdute di Israele, le terre degli uomini con la testa di cane e la Sardegna a
forma di piede umano. Questo deriva dal fatto che la maggior parte delle conoscenze sui Paesi lontani erano
frutto di racconti dei pellegrini e dei Crociati, racconti quindi investiti di fervore religioso e immaginazione.
Esempio di ciò è l’Imago mundi di Onorio Augustodunense, che rappresenta il mondo con la forma
dell’uovo: la Terra occupa il centro come il tuorlo nell’albume, dimostrando di accogliere il valore cosmico
che la tradizione attribuì all’uovo, come dimostra anche la Sacra Conversione di Piero della Francesca, dove
un uovo è sospeso sul capo della Vergine.
Il mappamondo di Ebstorf del 1234 rappresenta uno dei pochi documenti del periodo che ci abbia trasmesso
numerose informazioni topografiche e toponomastiche. Fu creato in un convento benedettino presso Ulzen e
fungeva da pala d’altare della cattedrale di Ebstorf. Andò distrutto durante la seconda guerra mondiale.
Constava di 30 tavole di pergamena di differenti dimensioni, che unite davano un diametro di 3,53 x 3,56
metri. Presentava delle lacune e molti nomi doppi di città e isole, forse dovuto al fatto che il disegno fu
eseguito su fogli separati, successivamente riuniti. Probabilmente il disegnatore fu Belmont, nome scritto
chiaramente insieme alla data, ma il suo autore viene indicato più probabilmente in Gervasio di Tilbury.
L’est, posto nella parte superiore del disegno, è simboleggiato dalla testa di Cristo Pantocratore, che
abbraccia il mondo intero e indica il nord e il sud con le mani e l’ovest con i piedi. La penisola italiana è
grossolanamente deformata. In questo mappamondo è evidente l’acquisizione di nuove informazioni circa
l’Africa che qua si espande verso l’Asia.
La carta di Hereford, disegnata tra il 1260 e il 1270, ha pari importanza ed è molto simile per tipologia,
fattura e destinazione, anche se è più piccolo. Realizzata allo scopo di adornare con un’immagine universale
un luogo sacro, funge ancor oggi da pala da altare. Nacque certamente come copia di una carta anteriore,
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Cartografia e territorio nei secoli come si capisce dal fatto che parte dei nomi geografici risale all’epoca romana: Aquitania, Gallia Belgica e
Celtica Provincia, per esempio. Riguardo all’Italia è notevole il fatto che essa sia rappresentata com’era
nella seconda metà del IV secolo, che la divisione in province sia quella anteriore alla conquista longobarda
e che i nomi delle città corrispondano a quelli della Tabula Peutingeriana. Il mappamondo è inscritto in un
trapezio raffigurante il Paradiso Celeste nel Giorno della Resurrezione. Al centro dell’ecumene è
rappresentata Gerusalemme, ma anche altri elementi tratti dalla Bibbia, come Adamo ed Eva, l’Arca di Noè
e la Torre di Babele. È sormontata dall’immagine del Cristo in Maestà.
Con il mappamondo di Fra Paolino Minorita, la rappresentazione circolare dell’ecumene acquista un’ampia
diffusione e si arricchisce di nuovi elementi. Potrebbe essere considerato una derivazione del planisfero
dell’arabo Edrisi. Il suo mappamondo deve la sua importanza al fatto che è il più antico fra quelli contenenti
elementi moderni, arrivati alla cartografia attraverso le testimonianze dei pellegrini e dei naviganti. Oltre
agli elementi tradizionali, compaiono indicazioni “moderne”: la Scizia, i regni del Catay e del Magnus Terra
nigrorum dell’Africa orientale.
Nel 1321, il veneziano Marino Sanudo presenta al Papa un progetto di Crociata e costruì un mappamondo
molto simile a quello di Fra Paolino. Il progetto, inoltre, era formato da altre 3 carte, costituite da una carta
del Mediterraneo, una della Terra Santa e una dell’Egitto, tutte delineate da Pietro Vesconte, che di solito
costruiva carte nautiche: si ha, quindi, la saldatura tra cartografia medievale dei mappamondi circolari a T e
la nascente cartografia nautica. Accanto al consueto schema dell’ecumene circolare, tripartito e circondato
dall’Oceano, compare una rosa centrale di 16 venti e 16 rose disposte alla periferia del cerchio.
Oltre a queste innovazioni, si mantiene viva la tradizione, come testimonia l’anonimo planisfero chiamato
Mappamondo Borgiano o Tavola di Velletri. Il planisfero, orientato con il sud in alto, è inciso su due tavole
di rame del diametro complessivo di 63 cm, che raffigurano l’antico ecumene, circondato dall’Oceano.
Segnala anche le due province di Gog e Magog e, alla foce del Gange, la figurazione del paradiso indicato
come <<locus deliciarum>>. Manifesta influenza catalana e sembra che sia stata disegnata come
decorazione a muro, con colori inseriti in canali incisi: svolgendo una funzione decorativa, non richiedeva
eccessiva precisione.
Un famoso cartografo veneziano, Andrea Bianco, aggiunse un planisfero al suo atlante di carte nautiche del
1436, ma la sua carta del mondo è superficiale e mostra poco progresso rispetto a quella del Vesconte di un
secolo prima: anche se è presente una rosa di 8 venti, a Oriente viene inserita la rappresentazione del
Paradiso da cui sgorgano i 4 fiumi biblici.
Una svolta decisiva fu rappresentata da Fra Mauro, monaco camaldolese originario di Murano, che in certi
momenti sembra essere un cartografo moderno: i libri del monastero riportano registrazioni per spese di
colori e paghe per cartografi. Il mappamondo, che ha diametro di 1,94m in un quadrato di 2,23m di lato,
venne realizzato tra 1457 e il 1459 con la collaborazione di Francesco di Cherso e di Andrea Bianco. È
consapevole di compiere una grande opera innovativa e di andare contro la corrente che vuole il ritorno a
Tolomeo, che anzi critica violentemente. Il suo mappamondo, rifiutando forme, disegni, distanze itinerarie
superate, inaugura il grande movimento della cartografia moderna, anche se l’antica cartografia si riaffaccia
nella rappresentazione del mondo come un planisfero circolare, mentre per il nuovo continente affida un
secondo planisfero, anch’esso circolare, ma distinto: ciò indica che c’era difficoltà di assimilazione
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Cartografia e territorio nei secoli